In alcune società, come ad esempio quelle sud europee, essere buoni è associato all’essere stupidi, a lasciare che gli altri si avvantaggino, come si direbbe in alcune parti d’Italia a essere “fess”.
Definiamo essere buoni con gli altri come la tendenza a dare molto valore agli altri ed al fatto di piacere ed essere amati dagli altri. Significa dare fiducia, avere senso dell’umorismo, essere generoso, compassionevole, tollerante e cooperativo.
Non essere buoni significa essere freddo, scettico, essere guardingo nei confronti degli altri, essere costantemente in competizione (complesso di inferiorità), pensare che ogni cosa che dai è solo una privazione a te stesso.
Essere buoni è positivamente correlato con la capcità di costruire relazione interpersonali forti, profonde e durevoli. Permette di essere punto di riferimento e di guidare gli altri nel lungo periodo.
Non esserlo permette di avvantaggiarsi del prossimo nel breve termine tuttavia, nel medio termine, genera una perdita di credibilità che mina la reputazione dell’individio e la capacità di essere punto di riferimento o guida. Una persona non buona è destinata a essere un seguace, il che alimenta il senso di inferiorità, la necessità di competere su ogni cosa e la capcità di dare, portandola a essere sempre meno buona in una spirale di infelicità.
Essere buoni permette di trovare accordi migliori in negoziazioni complesse, in cui ci sono diversi aspetti da negoziare e considerare. Porta ad un bene comune maggiore per entrambe le parti e quindi ad una capacità di costruire partnership durature che rafforzano gli attori coinvolti.
Non essere buoni permette di concudere meglio negoziazioni distributive, in cui si lotta per ottenere “la fetta più grande della torta” ed in cui il vantaggio di una parte si riflette in una perdita da parte dell’altra parte. C’è solo un vincitore e quindi non si crea una alleanza tra le due parti, che rimangono relativamente piccole, indipendenti e destinate a soccombere di fronte ad un pesce più grosso o a sopravvivere in una nicchia. Al contrario, non essere buoni, mina la capacità di concludere negoziazioni complesse che portano valore aggiunto.
Chi è buono è destinato a crescere ed espandersi con gli altri, chi non è buono è destinato a giocare confinato nel suo angolino di potere.
Per quanto riguarda prettamente il lavoro e la carriera, essere buoni è positivamente correlato a stili di leadership sia “efficaci” (leader che ottengono risultati concreti) che “emergenti” (leader che vengono promossi). Questo perché essere buoni è correlato con l’abilità di lavorare efficaciemente in team e permette di ottimizzare le sinergie di gruppo, di far lavorare bene i membri del proprio team, e quindi ottenere i risultati. Allo stesso tempo permette di creare relazioni forti e durevoli anche nei confronti dei superiori, che possono portare a fiducia e quindi a avanzamento di carriera.
Non essere buoni porta ad avere relazioni interpersonali povere e di convenienza, non basate sulla fiducia e quindi meno propense a concedere avanzamenti di carriera (nel caso di superiori). Inoltre porta a perdere la credibilità nei confronti del team rendendo difficile il raggiungimento degli obiettivi comuni e portando in definitiva a fallimenti.
Essere buoni porta ad essere generosi e quindi dare agli altri. Dare è uno strumento molto potente per influenzare gli altri in quanto innesca reciprocità: nella maggior parte dei casi le persone ripagano la generosità. Dare significa anche essere d’esempio, ovvero mettere in gioco se stessi prima degli altri. Questo porta a essere un modello di comportamente per gli altri, e quindi ad essere una guida.
Non essere buoni porta a non dare. Non dare significa rinunciare alla reciprocità della condivisione e quindi avere meno influenza sugli altri. Non dare significa non mettersi in gioco ed in definitiva, rinunciare alla possibilità di essere un modello per gli altri e quindi di guidarli.
Sei ancora convinto che essere buono significhi essere “fess”?